curatrice, scrittrice e ricercatrice, attiva a Londra, specializzata in arte medianica e visionaria.
Negli ultimi anni, l’arte medianica e visionaria ha conosciuto una notevole rinascita, coincidente con l’ascesa rapida della Realtà Aumentata (AR) come forza trasformativa nell’arte urbana. A un primo sguardo, questi generi sembrano mondi distanti, nati a più di un secolo di distanza e radicati in tecnologie differenti. Eppure condividono affinità profonde. Entrambi sfidano le convenzioni e mirano ad ampliare la percezione rivelando dimensioni della realtà normalmente invisibili, siano esse spirituali o digitali. La loro intersezione rivela l’arte come soglia tra materiale e immateriale, capace di riconnetterci alla meraviglia, alla comunità, alla memoria e alla speranza in un mondo incerto.
L’arte medianica e visionaria si affermò dapprima come fenomeno dei movimenti spiritisti e teosofici dell’Ottocento, i quali fiorirono in un’epoca in cui discorsi esoterici, scientifici e artistici si intrecciavano nella ricerca di ciò che giaceva al di là del mondo fisico. Questi movimenti si guadagnarono rapidamente una reputazione di radicale apertura e inclusività. Rifiutavano il dogma religioso, sfidavano l’empirismo scientifico e abbracciavano l’innovazione.
Sotto l’egida dello spiritismo e della teosofia, in particolare le donne trovarono voce. Per le artiste che spesso avevano sperimentato l’esclusione dagli ambienti ufficiali dell’arte, ciò rappresentò una rara occasione di salire sul palcoscenico. Le loro opere sfidavano le norme sociali e non erano destinate alla decorazione dei salotti, ma avevano uno scopo più alto. Comunicavano informazioni ultraterrene, inclusi messaggi di conforto per i lutti e prove dell’esistenza di un altro reame. Queste opere divennero portali verso realtà al di là del tempo e dello spazio.
Le prime pioniere furono Georgiana Houghton e Anna Howitt Watts, seguite in seguito da figure di spicco come Hilma af Klint e Madge Gill. La loro arte era anticonformista sia nella tecnica sia nei soggetti, inducendo nel fruitore la fede nell’aldilà. Spesso realizzate in stato di trance automatica, sotto la guida di spiriti o grazie a facoltà chiaroveggenti, le opere raffiguravano linguaggi inconsueti, emanazioni invisibili, entità disincarnate, aure caleidoscopiche, onde sonore, forme-pensiero, campi eterici e presenze ectoplasmatiche. I medium apparivano come ricevitori e trasmettitori umani di informazioni, elaborando messaggi a velocità fulminea come automi viventi. Molte di queste immagini risuonavano con scoperte scientifiche dell’epoca, come i raggi X di Wilhelm Röntgen, la telegrafia senza fili di Marconi e le teorie sull’elettromagnetismo di Sir Oliver Lodge.
Come descrissero i principali teosofi Annie Besant e Charles Leadbeater nel loro influente libro Thought Forms del 1905, le emanazioni ultraterrene venivano percepite vibrare nell’etere, generando forme e colori troppo vividi per essere riprodotti sulla terra. Gli stessi medium lamentavano i limiti dei materiali terrestri nel catturare le meraviglie astrali. Se fosse stata disponibile, probabilmente avrebbero scelto la Realtà Aumentata per rappresentare le loro visioni uniche.
La Realtà Aumentata sovrappone al mondo fisico strati digitali di suono, immagine, animazione e testo, visibili attraverso smartphone o tablet. Nell’arte urbana, l’AR attiva murales e street art aggiungendo elementi dinamici e interattivi che ravvivano o reinterpretano i significati. Progetti come MAUA dimostrano come l’AR possa reinventare lo spazio pubblico. I murales diventano portali verso nuove meraviglie, riscoprendo identità culturali e amplificando voci dimenticate.
In questo senso, l’arte urbana in AR agisce come un museo senza mura. Porta innovazione e bellezza nei paesaggi urbani quotidiani restando accessibile a comunità al di fuori dei sistemi delle gallerie e del mercato dell’arte. Come l’arte medianica e visionaria, l’AR rivela ciò che normalmente non si vede, sovrapponendo nuove realtà a quelle familiari e invitando il pubblico a percepire l’ambiente con occhi rinnovati.
Sia l’arte medianica e visionaria sia quella in AR si fondano su modalità ampliate di percezione. L’arte medianica canalizza i reami invisibili attraverso l’artista come canale, e l’arte in AR appare solo tramite uno schermo, una lente digitale che svela un’altra dimensione. Entrambe sfumano i confini tra reale e immaginato, facendo dell’arte l’interfaccia tra i due.
Così come i medium collaboravano con spiriti guida – spesso grandi artisti del passato – i creatori AR collaborano attraverso tempo e spazio. Un artista digitale può animare un murale di un pittore morto da tempo, creando un dialogo stratificato tra epoche. Questa co-creatività riecheggia l’“agenzia duo-dinamica” di artiste medianiche come Anna Howitt Watts, che credeva di essere guidata da Raffaello, o Georgiana Houghton, che canalizzava Tiziano. In entrambe le pratiche, l’arte non è atto solitario ma attraversamento collaborativo di confini.
Le donne, in particolare, hanno svolto ruoli significativi in entrambi i movimenti. L’arte medianica conferì legittimità alle artiste in una società dominata dagli uomini, consentendo loro spesso di intrecciare narrazioni femministe. Le raffigurazioni di Cristo come Divino Femminino da parte di Anna Howitt Watts ne sono un esempio. Allo stesso modo, l’AR offre alle donne la possibilità di reclamare e reinterpretare murales storicamente modellati da culture patriarcali, stratificando nuove narrazioni digitali che mettono in luce figure femminili represse o dimenticate nella storia – come erboriste, dee, profetesse e veggenti. L’AR può restituire le voci delle donne e, come nell’arte medianica, lo strato digitale diventa uno strumento per riaffermare conoscenze ed esperienze femminili nella coscienza pubblica.
Gli spazi urbani sono intrisi di storia e di coscienza collettiva. Materialmente costruiti e tuttavia carichi di energie persistenti, essi sono archivi viventi degli eventi e delle memorie di una comunità, simili a un registro akashico spirituale – una biblioteca metafisica che conterrebbe la traccia di ogni pensiero, azione, emozione e intento attraverso tutto il tempo e le dimensioni. L’arte medianica cercava di catturare tali energie intangibili raffigurando aure, forme-pensiero, spiriti e presenze ancestrali. L’AR può fare lo stesso, trasformando i muri in spazi interattivi di memoria e dialogo.
I murales pubblici, come gli edifici, sono presenze imponenti. Diventano punti di riferimento dell’identità culturale, offrendo narrazioni di resistenza, speranza o bellezza. Col tempo, però, questi messaggi svaniscono. L’AR offre un modo per risvegliarli, colmando il divario tra passato e futuro. Attraverso la psicogeografia, riconosciamo come il paesaggio urbano plasmi emozioni e percezioni. L’AR intensifica questo processo, rendendo improvvisamente visibili dettagli trascurati e storie dimenticate, incoraggiando gli spettatori a un coinvolgimento emotivo, sensoriale e spirituale. Può evocare lo spirito di un luogo così come l’arte medianica e visionaria sa rivelare presenze spirituali invisibili. Entrambe le forme d’arte riconnettono le comunità al loro passato, offrendo continuità tra generazioni, guarigione e rinnovamento, specialmente in tempi di guerra e sconvolgimenti politici.
Oggi, mentre le nuove tecnologie dei media digitali immersivi continuano a ridefinire l’arte, gli artisti AR riecheggiano lo spirito sperimentale dei loro predecessori medianici e visionari. Entrambi abbracciano l’innovazione, entrambi sfidano le convenzioni ed entrambi offrono esperienze di trascendenza. In un’epoca dominata da immagini digitali fugaci e dall’incessante scrolling, i murales in AR richiedono un coinvolgimento più lento e contemplativo, ricordandoci di fermarci e reimmaginare ciò che ci circonda. Così come l’arte visionaria richiede tempo per suscitare un’esperienza trascendentale.
I paralleli tra questi generi suggeriscono più di una coincidenza: lasciano intravedere la possibilità di una convergenza. Potrebbe l’AR essere considerata una nuova forma di seduta spiritica, un medium contemporaneo che canalizza voci invisibili e storie dimenticate nello spazio pubblico? Entrambe le pratiche, dopotutto, sono atti di traduzione e comunicazione che rendono visibile l’invisibile, sia attraverso il sensorio spirituale sia tramite il codice digitale.
Separati da oltre un secolo alla loro origine, eppure uniti da una visione condivisa, l’arte medianica e visionaria e l’arte urbana in AR ci invitano entrambi ad attraversare soglie di percezione. Ci ricordano che l’arte non riguarda solo la rappresentazione, ma anche la rivelazione, l’intravedere altre realtà, sia spirituali che tecnologiche. Entrambe rimangono prevalentemente fuori dal “white cube” della galleria, spesso trascurate dal mondo dell’arte, eppure capaci di raggiungere pubblici vasti e di interagire direttamente con gli spazi della vita quotidiana. Fanno più che decorare i muri: elevano e incantano. In tempi di incertezza, ci ricordano che la realtà non è fissa ma stratificata, fluida e viva di possibilità invisibili. La meraviglia è intrecciata nella sua trama, in attesa di essere svelata. L’arte medianica e visionaria aprì portali verso l’invisibile. Oggi, l’arte urbana in AR collega quei portali alle nostre città, invitandoci ancora una volta a percepire lo straordinario nascosto nel quotidiano.