Post street art. L’arte urbana nell’era digitale

5 Agosto 2019

di MAURO FILIPPI


Per definire l’insieme delle tendenze e dei movimenti artistici sviluppati dopo la Seconda guerra mondiale utilizziamo l’etichetta “arte contemporanea”, che dalla sua nascita non ha mai smesso di generare dubbi sui suoi contorni e sulla sua adeguata applicazione. La decisione di utilizzare l’aggettivo “contemporanea” ha creato infatti il paradosso temporale dell’eterno presente, dal quale difficilmente si è riusciti a evadere, nonostante molti dei canoni e dei linguaggi racchiusi nella definizione stessa siano ormai abbondantemente superati. Per questa ragione ci è ancora difficile riuscire a parlare dall’arte contemporanea al passato, nonostante già da tempo molti suffissi “post- ” siano intervenuti per fare gli opportuni e necessari distinguo. Nell’era post-moderna in cui viviamo, fatta di post-verità e post-colonialismo, seppur non ancora di post-capitalismo, sembra che il superamento degli ideali, dei movimenti, e delle tendenze proceda a ritmi incalzanti, costringendoci a costanti ridefinizioni e categorizzazioni.

La street art non è da meno e anche su di essa si abbatte il demone dell’aggiornamento delle etichette. Così nel 2016 a Stavanger – Norvegia – in occasione del Nuart Festival (uno dei più innovativi e autorevoli eventi internazionali legati all’arte urbana), il curatore Martyn Reed decide di lanciare il tema della Post Street Art dando questo nome all’esposizione principale. E pensare che buona parte di quella che viene generalmente definita street art venisse già etichettata da puristi ed entusiasti più propriamente post-graffiti.

Ma cosa innesca allora la necessità di aggiornare le definizioni? Cos’è accaduto alla street art per meritare un nuovo appellativo?

Meno di un secolo separa la nascita del muralismo messicano da quello che viene definito oggi nuovo muralismo contemporaneo, e la differenza tra i due mondi – uniti sostanzialmente dalla dimensione dei supporti e da parte delle tecniche adoperate – consiste in una serie di elementi che contempla in primis l’intenzione e le finalità, oltre che le tecnologie e le attrezzature utilizzate, ma anche la diffusione e il riconoscimento mediatico. In questo senso internet e la comunicazione di massa hanno senza dubbio giocato un ruolo fondamentale. L’ibridazione e la contaminazione con altre sfere artistiche, unita all’applicazione e sperimentazione di nuovi strumenti e modelli, ha generato soluzioni inedite che inevitabilmente hanno teso a distanziarsi dalla matrice di partenza.

Cosa succede quindi se il video-mapping interagisce con un’opera murale? Si può parlare ancora di street art quando qualcuno con un Google Tilt-Brush dipinge e modella con visori, joystick e kinect un contenuto virtuale e lo colloca geograficamente all’interno di uno spazio fisico? Infine può essere considerata street art un’azione di propositivo hackeraggio digitale di un’opera murale attraverso la realtà aumentata? Aggiungere uno o più livelli virtuali a un’opera d’arte fisica potrebbe essere assimilabile all’atto di crossarla, rimpiazzarla, o semplicemente dialogare con essa?

Tutti questi interrogativi lasciano presupporre che forse l’esigenza di una nuova definizione del concetto di street art sia reale. Nella creazione artistica contemporanea la post-produzione, intesa come atto di appropriazione e manipolazione, sembra essere diventata un elemento estremamente ricorrente. Utilizzare come materia prima un prodotto creato da altri per generare un contenuto ibrido inedito è una tendenza sempre più diffusa. In strada l’appropriation art, seppur osteggiata da molti, è sempre stata praticata creando peraltro risultati spesso molto interessanti e capaci di amplificare talvolta il valore stesso delle opere di partenza. Sembra sensato ipotizzare dunque che il mondo dell’arte urbana continuerà nel prossimo futuro a evolversi e mutare assecondando le innovazioni tecnologiche e culturali. Speriamo solo di non dover prospettare scenari post-apocalittici!
(Nella foto in alto un creativo digitale al lavoro su un’opera di street art durante un workshop Maua)

 

Il presente testo è tratto dal catalogo Maua Torino, acquistabile sul sito di Terre di Mezzo Editore. Anche dalle sue pagine è possibile fruire dei murales in realtà aumentata, basta inquadrarle con la app Bepart scaricabile gratuitamente dai PlayStore per Android e iOS.