Vorrei ricordare un artista scomparso giovane, a soli 37 anni, per una assurda fatalità (nel novembre 2018, ndr): Alessandro Caligaris. Faceva parte di una feconda ondata di autori diplomatasi all’Accademia Albertina nella seconda metà degli anni Zero, tra cui anche la compagna Francesca Sibona, Max Petrone, Gianluca Nibbi, Cornelia Badelita, Francesca Renolfi, Francesca Ferreri, Cinzia Ceccarelli e Francesca Arri.
Il mio impegno, e quello dei molti amici ed estimatori di Alessandro, sarà di tutelare la memoria del suo lavoro, che si inserisce nell’ultima propaggine della post modernità, anche con una costante e viva attualizzazione nei successivi contesti storici.
La pittura, così come le tecniche di riproduzione affini sul piano della bidimensionalità e della “bassa definizione”, quali grafica, fumetto, immagini pubblicitarie, è divenuta strumento privilegiato per una bella fetta dell’ultima generazione. L’arte in generale è, da un po’ di anni, considerata fenomeno “alla moda”. Complice un’euforia in buona parte artificiosa e determinata, a mio parere, principalmente dall’invasività, per certi aspetti anche benefica, di un apparato comunicativo sempre più famelico di argomenti da dibattere e divulgare, che ha scoperto, da ultimo, anche l’arte come detentrice di una non trascurabile nicchia di interesse, in particolar modo quando si avvale degli strumenti retorici dello stupore e del sensazionalismo, come ha insegnato la sagace lezione di marketing della nuova arte inglese.
Questo “ritorno alla pittura” è invece fenomeno puramente nostrano, figlio della stanchezza intollerabile prodotta dagli anni Novanta, in parte perpetuatasi anche nel decennio successivo, con la loro ininterrotta sequela di trovate neoconcettuali banalmente citazioniste e sterili dal punto di vista linguistico, e di artisti, così come anche di critici, “usa e getta”. L’ultima generazione pare usare il tramite pittorico per stabilire un rapporto di evocazione con lo scenario contemporaneo, sublimando il reale per trarne i riposti umori, sfidando la fotografia e costringendola ad adeguarsi rincorrendola sul suo terreno.
Quanto oggi appare parzialmente inedito e stimolante è l’attitudine a mescolare con disinvoltura tracce e visioni appartenenti di pari alla cultura “alta” e a quella “bassa”. Brani di storia si mescolano a visioni psichedeliche e metropolitane, insieme a simboli del repertorio tradizionale della pop art, così come al fashion, all’illustrazione, al fumetto, creando una equilibrata miscellanea che sembra rinverdire i fasti dei migliori anni Ottanta, quando si manifestò la riscoperta dell’individualismo e la ricerca di un’estetica appagante in grado di contaminare i generi.
Il rapporto tra “arte pura” e “arte applicata”, nel corso del Novecento spesso sbilanciato a favore della seconda, adesso pare posizionato su di un livello di perfetto equilibrio, con i due ambiti ad assumere la funzione di vasi comunicanti.
Dopo vari segnali positivi degli anni Zero, pare che questa vocazione a un’arte “totale”, rinvenibile anche in forme di grafica che tendono alla creazione di un linguaggio proprio, in un design ecosostenibile, nella street art e in particolari forme di artigianato artistico metropolitano, costituisca la novità più rilevante di questo nuovo millennio.
Alessandro, la cui produzione, con caratteristiche di assoluta originalità, è elettivamente affine all’ambito di storia recente prima citato, è stato un mio studente, tra i più vivaci e dialettici, con me diplomatosi con una brillante tesi sul parallelo tra nichilismo storico e contemporaneo.
In lui, oltre a una felice vena manuale, era presente una tendenza alla riflessione critica sull’esistente e all’impegno sociale esercitato con i fatti più che con le parole, tramite un’azione diretta e partecipata ad esempio in vari laboratori di arte terapia.
La sua fertile vena artistica, e la spontanea manualità, gli permettevano di esprimersi a trecentosessanta gradi con il tramite della pittura e del muralismo, con significativi risultati raggiunti nell’ambito dell’illustrazione e del fumetto, in questo caso nell’accezione della graphic novel, di cui in breve tempo era diventato autore di punta.
L’ispirazione di Alessandro Caligaris lo spingeva verso una dimensione narrativa che spaziava tra vari generi e tonalità di racconto, con la costante volontà di rappresentare uno scenario contemporaneo o prossimo futuro, per stigmatizzarne contraddizioni e alienazioni, senza però rinchiudersi in uno stile neo realista ma, al contrario, sublimando allegoricamente l’attualità ricorrendo alla dimensione affabulatoria, e tratteggiando visioni e personaggi tra pre e post modernità, con riferimenti storici alla psichedelia ante litteram di William Blake e al romanzo gotico di fine Ottocento.
Il tutto trova fertile scenario nell’ambito della street art, dove Alessandro ha realizzato autentici capolavori in vari contesti, dai centri sociali come Gabrio, ai punti di ritrovo come da Giau, passando per l’esperienza di SAM con Carmelo Cambareri, il Museo d’Arte Urbana, e la intensa collaborazione con uno dei più lungimiranti galleristi ed esperti del genere, Davide Loritano di Square 23.
(Nell’immagine in alto Caligaris al lavoro. Foto di L. Ninni tratta dal sito alessandrocaligarisart.it)
L’impegno e la volontà di portare sempre e comunque l’arte fuori dai luoghi consueti per permetterle di essere attrice sociale è testimoniata da uno dei suoi ultimi lavori, la graphic novel Blue Boy, una storia che testimonia il suo impegno di operatore dell’arte terapia a confronto e contatto con tre giovani pazienti autistici. Il blu è il colore simbolo dell’autismo, un disturbo pervasivo dello sviluppo che porta a “pensare per immagini”. Proprio da questa considerazione parte l’impegno per il suo superamento, che coinvolge giovani e adulti.
Il presente testo è tratto dal catalogo Maua Torino, acquistabile sul sito di Terre di Mezzo Editore. Anche dalle sue pagine è possibile fruire dei murales in realtà aumentata, basta inquadrarle con la app Bepart scaricabile gratuitamente dai PlayStore per Android e iOS.