A Favara, la street art non è mai stata semplice decorazione urbana. È apparsa come gesto spontaneo, impulso creativo che ha scelto il margine per esprimersi. Lontana dalla monumentalità e dalle narrazioni ufficiali, si è manifestata come traccia effimera: fragile, talvolta dimenticata, ma proprio per questo autentica.
Numerosi interventi – anche di artisti di rilievo – hanno animato muri e cortili del centro storico, in particolare i 7 Cortili di Farm Cultural Park. Pochi sono rimasti: molti sono stati coperti, cancellati, superati dalla necessità di trasformazione. Favara, e Farm in particolare, è un organismo vivo, e qui l’arte non ambisce all’eternità. “Le cose belle durano poco”, diceva Christo. Qui, quell’aforisma è diventato una linea curatoriale implicita.
Nessun piano, nessuna ideologia ha guidato la street art locale. Le opere sono nate per istinto, in dialogo con pieni e vuoti, con ciò che c’è e ciò che manca. L’arte pubblica ha trasformato Favara in una galleria a cielo aperto, con linguaggi ora ironici, ora politici, sempre radicati nel presente.
Eppure la street art non è mai stata il centro di Farm, come spesso si crede, ma una sua ramificazione. Una delle molteplici possibilità di espressione all’interno di un ecosistema fatto di pedagogia, curatela, architettura, visione civica. Incide forse solo il 5% sul progetto complessivo, ma è un 5% che conta: lascia tracce nei ricordi, nelle fotografie, nello spazio.
Qui l’arte urbana non nasce per affermare uno stile, ma dall’incontro tra artista e luogo, tra senso e contesto. In un’epoca in cui molte città italiane si riempiono di murales privi di cura, Favara resta un caso raro di attenzione e misura. Ogni intervento ha cercato il momento giusto per esistere.
La street art qui, non ha voluto risolvere la rigenerazione urbana: ha solo aperto varchi, posto domande. E ancora oggi, riappare a tratti, su un muro, in una scritta, un simbolo. Mai invadente, mai definitiva. Sempre pronta a svanire, come tutto ciò che lascia davvero il segno.

