Alla ricerca del fuoco: le stanze della fabbrica

5 Agosto 2019

di STEFANO DI POLITO


L’itinerario del fuoco inizia dove arrivava il Treno del Sole, la stazione Porta Nuova. Negli anni Sessanta e Settanta, qui giunsero centinaia di migliaia di immigrati dal Sud Italia. Torino raddoppiò i suoi abitanti arrivando a contenere un milione e duecentomila persone. L’itinerario si sviluppa a Sud della città, lungo l’asse delle fabbriche della Fiat, la prima sede in corso Dante, il Lingotto e Mirafiori. Qui tutti hanno una storia familiare legata alla fabbrica. Chi come operaio di linea, chi come industriale. La fabbrica entrava nelle case dei torinesi, i suoi racconti riempivano le stanze.

Le sette opere di questa sezione ci invitano a scoprire quale fuoco interiore scalda ancora la città. Le prime tre si trovano a San Salvario, attorniano il Teatro Colosseo in un progetto ideato in collaborazione con la Galleria d’arte Square 23 (Nella foto in alto Black Machine di Nevercrew, la prima opera di street art ad essere “aumentata” e a fare da apripista al progetto Maua. Qui di seguito il video). È il quartiere adiacente alla stazione dei treni, una vera “porta nuova” per molte persone. Qui hanno trovato la prima casa gli immigrati del Treno del Sole. Gli stessi ballatoi, poi, hanno accolto altri cittadini del mondo in cerca di lavoro. Queste case di ringhiera sono state il focolare della città. Un quartiere collettivo, cambiato a partire dagli anni Novanta, quando iniziò un lungo percorso di rigenerazione urbana improntato sul valore della convivenza culturale. Tra le vie ricche di negozietti, locali etnici, ristoranti e centri culturali, San Salvario attrae oggi creativi da tutta Italia che vivono con calore questo modello di tolleranza.

La fabbrica d’Italia, la Fiat, ha forgiato Torino nel Novecento, tutto era in funzione della produttività: i quartieri dormitorio, gli autobus stipati di operai, i tre turni alla catena di montaggio, i letti a ore nelle pensioni. Ma il fuoco brucia e Torino ha vissuto diverse crisi sociali: gli Anni di piombo, la piaga dell’eroina, lunghi periodi di cassa integrazione e la recente deindustrializzazione. Qui si veniva per lavorare, e ora che il lavoro manca c’è una ricerca diffusa di un motivo per stare qui. Sul finire del secolo scorso, poi, un nuovo modello ha illuminato la città. Come si sopravvive senza fabbriche? Restando “operai” persino nei lavori più innovativi. Perché Torino inventa il futuro, progetta senza rassegnazione, cerca ossessivamente nuove vie, connette molteplici identità. Ciò che l’alimenta è la sua laboriosità. Un luogo che restituisce il perenne fermento torinese è Toolbox, dove si confrontano professionisti di tutto il mondo sulle invenzioni del futuro e dove potrete ammirare altri murales.

Il viaggio prosegue verso la Torino Olimpica, davanti al villaggio degli atleti, dove la torcia ha dato luce internazionale alla trasformazione della città e riscaldato persino i torinesi più gelidi, accorsi in migliaia a fare da volontari.

L’ultima tappa è il Centro di Protagonismo Giovanile di strada delle Cacce. Siamo nel cuore di Mirafiori. Qui i giovani non riescono neppure a immaginare una fabbrica con oltre 70mila operai. Gli ultimi pensionati rimasti di quella grande ondata fanno il giro dell’isolato, s’inventano delle commissioni, accompagnati spesso dai loro nipotini, perché sanno che per non spegnere il fuoco, bisogna continuare a tramandare la memoria operaia di questa città.

Il presente testo è tratto dal catalogo Maua Torino, acquistabile sul sito di Terre di Mezzo Editore. Anche dalle sue pagine è possibile fruire dei murales in realtà aumentata, basta inquadrarle con la app Bepart scaricabile gratuitamente dai PlayStore per Android e iOS.