Lo spazio pubblico urbano è abitualmente considerato solo nella sua veste funzionale, come spazio di collegamento tra casa, lavoro, e luoghi di svago, sacrificato alle regole del business, ceduto alle multinazionali e alle agenzie di marketing che lo intasano di messaggi pubblicitari alienanti, invaso da segnaletica stradale, dal traffico, dallo smog. Io ho sempre pensato alla città come un palcoscenico teatrale, dove poter creare e far vivere scene surreali, trasformando angoli della città e oggetti comuni in personaggi e situazioni magiche. Vedere un pinguino in un paracarro stradale, un pellicano nascosto in un cestino, una palma in un semaforo, riporta a galla il bambino che è in noi, fa riscoprire lo straordinario nelle piccole cose. Tanti luoghi nelle metropoli contemporanee sono spazi oggettivamente brutti, residui di dinamiche economiche incentrate sul capitale e non sulla persona: le aree industriali, gli svincoli stradali, i dintorni dei centri commerciali, le facciate cieche dei palazzi, i pali della segnaletica, i tombini, le cabine elettriche ecc. Proprio per questo sono tutti supporti particolarmente adatti a venir trasformati, perché si crea un forte contrasto tra la bruttezza dell’oggetto e la sua risignificazione. Scopo della street art è riconquistare questi spazi sottratti alla cittadinanza, rendendoli più umani, più vivibili. Lo spazio pubblico non è più terra di nessuno, ma patrimonio di tutti.