curatrice e Responsabile ufficio Arte negli Spazi Pubblici, Comune di Milano
Dopo essere passato da città metropolitane, come Milano e Torino, il progetto MAUA attraversa il paese verso sud, e incontrando l’esito di diversi progetti o festival, ci permette di dedicare una riflessione alla differenza tra le opere metropolitane rispetto a quelle di un borgo o città di medie dimensioni. La stagione delle metropoli in Italia si trova ad un punto cruciale di passaggio: se non è possibile decretare il suo tramonto, è indubbio che dal punto di vista culturale l’interesse per l’attivazione di aree interne faccia parte dello spirito dei nostri tempi.
Lo spazio pubblico delle città è conteso, spesso conflittuale, e l’esperienza artistica per un muralista contemporaneo non è unicamente quella di conquistare (dipingendo) un luogo e poi correre alla successiva produzione, ma avere il tempo per creare anche relazioni e incontrare persone e comunità. Esperienze più lente e che permettono un maggior contatto sono quelle che lasciano più gusto, in una produzione come nella vita: l’obiettivo non è avere più muri dipinti, ma più produzioni memorabili.
Ecco perché rispetto alla dimensione metropolitana di murales diffusi apparentemente slegati nel tempo e anche negli spazi, storie come quella di Farm Cultural Park (Favara) o di Borgo Universo (Aielli), o di Santa Croce di Magliano, per citarne alcuni, sono esperienze di enorme valore sociale, oltre che artistico, perché concorsi, workshop e residenze permettono all’intera città di accogliere artisti rilievo internazionale utilizzando l’arte e le opere come strumento di formazione, conoscenza e apertura, rendendo visibile un territorio che raramente trova spazio nei circuiti culturali maggiori. Questa sinergia tende a perdersi nelle maglie frastagliate della metropoli, dove il ciclo di vita delle opere è rapido come lo stress dei meccanismi di comunicazione che le accompagnano.
Cosa potrebbe accomunare allora il centro e la periferia, nella produzione dell’arte urbana oggi? io credo la tecnologia digitale. L’arte urbana è per sua stessa natura effimera, e gli archivi sono il solo modo per tenerne traccia in modo neutro e non ammantato di nostalgia (come fa invece la memoria). Ecco perché lo stimolo di MAUA è doppiamente interessante: da un lato fotografa la realtà con le opere diffuse in un determinato momento storico, dall’altro ci gioca e le riformula, permettendo alle opere di essere leva per nuove interpretazioni da parte di artisti digitali. Questo livello mediale nasce già come cangiante e non fisso, non definitivo, al contrario di quanto accade nella realtà, che fatica ad accettare ogni cambiamento.
Le tecnologie digitali stanno aprendo nuove prospettive per l’arte urbana, trasformandola da esperienza effimera a patrimonio condiviso, permettendo di registrare e poter mantenere traccia di opere che non saranno per sempre. Attraverso piattaforme online, mappe interattive e archivi digitali, murales e installazioni diventano accessibili a distanza nel tempo e nello spazio, creando memoria collettiva e documentando l’evoluzione dei territori. Il digitale non solo conserva, ma innova: realtà aumentata e strumenti multimediali arricchiscono la fruizione, permettendo di intrecciare narrazione, storia locale e linguaggi contemporanei. In questo dialogo tra pixel e pareti si costruiscono ponti tra passato, presente e futuro: le opere raccontano identità e cambiamento, mentre la rete le connette a comunità globali. Così, il digitale non è solo archivio, ma anche spazio di relazione, capace di sostenere scambi tra artisti, cittadini e visitatori, rafforzando il senso di appartenenza e aprendo a nuove forme di partecipazione culturale.