ricercatrice in culture digitali, docente presso ISIA Pescara e curatrice indipendente
In un’epoca in cui la parola territorio rischia di svuotarsi, consumata tra slogan di marketing e formule turistiche ripetute all’infinito, Gulìa Urbana restituisce al Sud Italia il senso più autentico e radicale di questo concetto: un organismo vivo, fatto di muri che respirano, di volti che si riconoscono nei colori, di comunità che tornano a vedersi protagoniste. Una storia che comincia in Calabria, nel 2012, spinta dalla gulìa — quel desiderio viscerale — di scalfire la noia della provincia. Da lì, il progetto si è mosso come un viaggiatore instancabile, trasformando strade e piazze in luoghi di possibilità.
Qui, la libertà non è un vezzo retorico: è una regola condivisa. Ogni artista porta con sé la propria visione, e lo fa rispettando la morfologia architettonica e umana del luogo. Non si cala dall’alto un’estetica: si intrecciano linguaggi, si ascoltano storie, si educa lo sguardo collettivo.
Più di 250 artisti, provenienti da tutto il mondo, hanno realizzato oltre 400 opere sotto il nome di Gulìa Urbana, dal piccolo borgo di Raiano alle piazze di Taranto, fino ad arrivare a territori come Latina. Ogni muro diventa così una dichiarazione di esistenza.
Da questa stessa tensione è nato l’incontro con Diamante, città dei murales dal 1981. Un luogo che ha scelto di unire la propria storia a quella di Gulìa Urbana. Un’alleanza tra due progetti simili che decidono di condividere forze, reti e orizzonti in un atto culturale e politico insieme, che smonta quelle dinamiche capaci di paralizzare un territorio.
Il passo successivo è stato naturale: aprire le porte alla dimensione digitale, incontrando il MAUA e la sua ricerca su un nuovo linguaggio espressivo che fonde arte urbana e realtà aumentata nei suoi musei a cielo aperto. Qui la tecnologia non è un accessorio superfluo, ma un’estensione della narrazione: l’opera si anima, diventa esperienza immersiva, moltiplica i livelli di lettura e di interazione. L’AR è uno dei linguaggio del presente, giovane ma già decisivo, capace di mettere lo spettatore al centro del processo creativo.
Nei workshop tra Diamante e Cosenza, trenta artisti digitali hanno lavorato fianco a fianco con gli street artist, sperimentando interazioni cromatiche, script e ambienti 3D. Le idee sono state il punto di partenza e le applicazioni si sono piegate alle idee. È questa inversione – prima il pensiero poi la tecnologia – che mantiene viva la narrazione e la salva dalla standardizzazione. Le opere nascono sui muri vulnerabili e aperte, pronte a cambiare con il contesto e a rivelare una nuova ulteriore vita solo quando qualcuno con l’AR le attiva.
Gulìa Urbana, Diamante e MAUA insieme rappresentano un ecosistema in cui arte, comunità e innovazione si contaminano di continuo. È un modello che dimostra come il Sud possa farsi avanguardia quando sceglie di unire energie e abbandonare l’isolamento. Qui non si producono soltanto opere: si generano processi. I cittadini diventano custodi delle pareti che li circondano, gli abitanti si trasformano in guide spontanee, le economie locali si muovono grazie al turismo culturale. Un ecosistema che rappresenta un esempio che ci coinvolge nel vivere in modo collettivo, che risveglia meccanismi operativi che si riassumono nell’attivazione di una cooperazione reciproca.
In un panorama globale dove la street art rischia di ridursi a decorazione o sfondo per selfie, questo approccio le restituisce la sua funzione primaria: rigenerare, affermare, connettere. Qui il muro diventa un dispositivo narrativo, e la realtà aumentata rappresenta un’espansione dello spazio pubblico. Insieme, forniscono nuove chiavi per leggere la città oltre le sue funzioni e i suoi confini fisici.
Che si tratti di un quartiere di Crotone, di un vicolo di Diamante o della piazza di Santa Sofia d’Epiro con la sua comunità arbëreshë, la città diventa un racconto corale: un testo aperto in cui si intrecciano voci di artisti, abitanti e visitatori. È un terreno di scoperta e riappropriazione, che restituisce a chi partecipa uno sguardo radicale e riattiva il pensiero laterale sull’abitare. Non esiste una sola trama, ma un mosaico di microstorie che si accumulano come strati di vernice: il tempo non li cancella, li sedimenta.
Forse è questo il dono più grande di Gulìa Urbana: ricordarci che vivere uno spazio significa anche trasformarlo insieme, abbattendo muri interiori prima ancora di quelli di cemento. Perché l’opera d’arte più potente non è quella che si guarda, ma quella che accade tra le persone che la condividono.
